In luglio Giuseppe e il figlio Simone hanno trascorso tre settimane ospiti della famiglia Strazzi, con loro c’era anche Miriam una delle fondatrici dell’associazione.
Vi presentiamo il confronto fra le testimonianze di Simone (14 anni) e Miriam


Al ritorno dal mio viaggio in Bolivia mi è stato chiesto di scrivere una decina di righe su ciò che ho provato, vissuto e visto in questa esperienza.
Ad aprile del 2008, una sera i mie zii Oscar e Laura erano venuti a trovarci e mentre si parlava del lavoro che svolgono in missione, lo zio mi ha detto che se fossi andato a trovarlo mi avrebbe insegnato a guidare la Jeep. La proposta era allettante, ma come si poteva realizzare? Inizialmente dovevo andare con tutta la mia famiglia, poi a gennaio 2009 abbiamo deciso che, a luglio, saremmo partiti solo io e papà. Successivamente si è unita a noi anche Miriam. Il viaggio è stato duro (32 ore di viaggio), ma appena arrivati la fatica e la stanchezza si sono sostituite alla gioia di vedere gli zii e di abbracciare i cuginetti William e Corinne.

Se devo essere sincera, quest’anno non avevo tanta voglia di farmi le “vacanze” in Bolivia.
Ero stanca, avevo avuto un anno più impegnativo di altri e la fatica si sentiva. Ma l’avevo promesso a Oscar.
Più o meno sapevo quello che mi aspettava: ero già stata 2 volte in Centrafrica e sulla nostra missione in Bolivia sapevo tutto. Ero quindi preparata a imprevisti e contraddizioni.
Ma è come quando ci si prepara per un esame: un conto è sentirsi pronti e un altro è essere interrogati. Bene penso proprio che questa esperienza sia stata come un’interrogazione. Quanto ero pronta, preparata?

Durante la nostra permanenza abbiamo: partecipato alla vita che si svolge nel centro di accoglienza, partecipato all’inaugurazione del “La Fabrica de la Sonrisa ” (il nuovo centro di accoglienza per le famiglie) e visitato le comunità che vivono all’inizio della foresta.
Nelle giornate trascorse al “vecchio centro” ho notato una cosa strana per la Bolivia : ordine e pulizia regnano sovrani, le attività segnate in bacheca vengono rispettate dalle mamme e dai piccoli ospiti. All’arrivo di nuovi ospiti si crea una specie di catena con le persone che sono da più tempo al centro che insegnano regole e comportamenti ai cosiddetti novizi.
Sono rimasto molto colpito da alcuni momenti vissuti a stretto contatto con le persone ospitate, fra questi ricordo un pomeriggio trascorso tutti assieme a far la Pizza , pensate abbiamo impastato tagliato i formaggi olive e wuster per 45 pizze! Come non ricordare poi la mattinata trascorsa a giocare a pallavolo, prima abbiamo preparato il campo, poi abbiamo giocato, per come si può giocare in 30 persone fra mamme e bambini! Comunque alla fine abbiamo deciso di giocare a calcio!
Un’altra cosa bella è stato il giorno della liturgia al centro con tutte le donne che si impegnavano per animare la liturgia ad esempio c‘era chi leggeva e chi cantava, controllate sempre dal vigile occhio dello zio Oscar che dalla sua postazione dietro l’altare sembrava il direttore di una piccola orchestra.

Ero pronta a essere entusiasta delle nostre opere, a trovarvi ordine e organizzazione: ma un’altra cosa era, vedere come le persone accolte vengono seguite con attenzione, ogniuna singolarmente, con pazienza – e vi assicuro che ce ne vuole tanta – aiutate a crescere sia curandole nelle loro malattie (dal semplice raffreddore, al più serio e costoso pace maker da mettere ad una ragazza di 20/25 anni che altrimenti rischia di morire), sia dando a loro e ai loro figli un’istruzione professionale affinché una volta fuori dal Centro non abbiano come prospettiva la strada o la vita di prima; seguirli ancora, una volta usciti dal Centro, e come cristiani, dare anche la possibilità a chi vuole, di una crescita spirituale.

Al nuovo centro, che entrerà in funzione a gennaio, verranno ospitate famiglie “intere” cioè anche con il papà (al vecchio centro sono ospitate solo mamme con i bambini) e verranno accolti dei ragazzi provenienti dal campo per dare loro l’opportunità di continuare gli studi.
Nella settimana che ha preceduto l’inaugurazione del nuovo centro abbiamo aiutato a pulire, riordinare e sistemare gli ultimi particolari. Finalmente è arrivato il giorno dell’inaugurazione, erano presenti monsignor Sergio Gualberti, vescovo di Santa Cruz, alcuni gruppi di missionari che operano nella città, la responsabile della Pastorale dell’immigrazione, persone che hanno aiutato nei lavori e la gente del posto.
L’inaugurazione è iniziata con la benedizione del centro, l’omelia del Vescovo e una presentazione di Oscar, poi vi è stato un momento di festa, con l’esibizione di ballerini che hanno presentato i balli tipici di alcuni dipartimenti ed un rinfresco, molto atteso dalla gente del posto.

Ero pronta per un bel discorso fatto in occasione dell’inaugurazione del nuovo e bellissimo centro di accoglienza per le famiglie “ La Fabrica de la Sonrisa ” ma quando il Vescovo Mons. Sergio ha detto: “… Ci voleva questo Centro perché qui in Bolivia la famiglia sta perdendo la sua identità. Tante donne, mogli e madri, lasciano la famiglia per cercare lavoro in altri paesi – anche boliviani, ma lontani – e quando, e se tornano, trovano il marito con un’altra donna, o i figli cresciuti che non si ricordano di loro, o loro stesse che si sono trovate un altro uomo”. Mi sono così trovata a pensare che effettivamente da noi ci sono tante colf sole: quante di loro hanno lasciato marito e figli? Quante di loro tornano a casa? Non me lo sono mai chiesta! È così … normale che ci siano!

Visitando le comunità della foresta, ho visto la felicità e la gioia che la gente prova nel veder arrivare l’Hermano Oscar e la soddisfazione che a sua volta prova Oscar nel vedere tutte queste persone volenterose di imparare e di crescere sia civilmente che religiosamente. Vivere più giornate a contatto con le comunità, partecipare alle riunioni, alle liturgie e addirittura essere loro ospite a pranzo è stata un’emozione meravigliosa.
Queste sensazioni si sono presto fatte sopraffare da tristezza, pena e un nodo in gola che alla sera ci impediva di mangiare ripensando a quelle povere persone: mamme con diversi figli senza marito, anziani soli e ammalati che non avevano da mangiare ed erano anche senza scarpe con solo un maglioncino e faceva freddo…
Durante il viaggio per andare alle comunità però c’è stato un inconveniente…la pioggia.
Dovete sapere che con la pioggia le buche che normalmente sono grandi come un quarto di macchina si riempiono d’acqua creando non pochi problemi non tanto a quelli che sono nella cabina della Jeep ma a quelli che sono nel cassone che sono costretti a evitare continuamente rami e a prendere in faccia tutta l’acqua che si alza quando si entra in una buca. E’ allora che con papà e Julio si gridava continuamente “Buca”, “Buca con acqua” oppure “ramo” …

Ripensando alle comunità dei campi, ancora adesso mi domando con meraviglia, come fa Oscar a trovare il tempo per preparare le liturgie, tenendo presente che ogni settimana visita 4-5 comunità! E la visita non consiste solo in un momento di preghiera, ma nel radunare i rappresentanti dei villaggi e cercare di capire con loro quali siano i problemi più urgenti da risolvere, e quindi promettere e la volta dopo tornare, se possibile, con le soluzioni.
E poi ci sono emozioni, sensazioni, stati d’animo che come tali sono difficili da descrivere e non si renderebbe l’idea. Come spiegare la paura (e per qualcuno il terrore!) di quello che avremmo dovuto mangiare e bere quando si andava in visita alle comunità nei campi? O della prospettiva di non riuscire a tornare a casa perché dopo una giornata di pioggia forse il Rio non sarebbe stato attraversabile? O quello che ho provato quando dopo avere visitato la …”casa” di Cecilia e dei suoi bambini, in uno dei giorni più freddi che abbiamo trovato, noi alla sera eravamo in casa al caldo, dopo una bella doccia calda a mangiare un piatto caldo – ma che fatica quella sera: il passato di verdura non voleva andare giù! – e loro non avevano neanche l’acqua per fare un brodo … di cosa?

Mi hanno detto che rispetto ad altri amici che sono stati ospiti in missione ho vissuto un’esperienza meno pesante e cruda, ma ho cercato lo stesso di trasmettervi le emozioni che ho provato.
Consiglio ad altre persone che lo desiderano di fare un’esperienza in missione perché le verità viste con i propri occhi sono ben diverse da quelle che le televisioni ecc. ci trasmettono.

Ero pronta a vedere tanti bambini allegri e a giocare con loro. Ho visto sì bimbi sorridenti, inizialmente timorosi ma poi grandi amiconi. Erano i bimbi del Centro e quelli delle Comunità che abbiamo visitato. Ma ho visto anche due bimbe – e per fortuna solo loro – che faticavano a sorridere: sembravano già stanche della vita. Nel loro sguardo triste era stampata una parola: Perchè?
Pur non sapendo bene lo spagnolo, non c’era bisogno di tradurre quello che i loro occhi dicevano! Che voglia di prenderle in braccio e cercare di farle ridere come devono fare i bambini, di cancellare anche solo per un attimo quella tristezza!

Dimenticavo, la promessa di guidare la macchina fatta dallo zio è stata mantenuta…

Sono quindi sentimenti di ammirazione e di stima quelli che provo quando penso a Oscar e Laura, che con i loro figli, mettono a disposizione una vita, la loro vita per rendere più dignitosa quella di tante altre persone.
E le preghiere e gli aiuti perchè loro possano continuare in questa missione, non sono mai troppe!!

Miriam e Simone