Affascinati dai racconti e dai mille aneddoti di don Andrea, che quell’estate avrebbe vissuto la sua quarta esperienza “boliviana”, non vedevamo l’ora che quel fatidico 24 agosto finalmente arrivasse, per vivere quella che poi si sarebbe rivelata una delle avventure più belle ed emozionanti della nostra vita. Destinazione: Santa Cruz de la Sierra.
Sfasati da due giorni di viaggio e dal fuso orario, catapultati dall’altra parte del mondo, ci siamo trovati immersi in ambiente totalmente diverso dal nostro, con un’accoglienza e con un ritmo di vita che ci hanno positivamente sorpreso sin dai primissimi momenti.
Ma prima di poter concretamente toccare con mano le attività che quotidianamente caratterizzano la missione di Oscar e Laura, siamo stati accolti in casa sua, provando immediatamente un’atmosfera familiare del tutto inaspettata. Tutta la famiglia è stata per noi testimonianza importante di fede e amore per il prossimo, da Oscar, che si sveglia tutte le mattine sempre più carico e, nonostante i mille impegni giornalieri, “corre” da una parte all’altra senza fermarsi un attimo, a Laura, che oltre a dare il proprio indispensabile contributo in ambito sanitario si occupa a tempo pieno dei bambini, a William e Corinne, che hanno, nonostante la giovane età, sempre mostrato di condividere con grande gioia la vita missionaria scelta dai loro genitori.
Durante la nostra permanenza abbiamo partecipato alla vita che si svolge nei centri di accoglienza e visitato le comunità che vivono in foresta.
Il centro “La Sonrisa”, il primo ad essere stato costruito, ospita donne e bambini in difficoltà offrendo loro un letto, un pasto e assistenza sanitaria gratuita, oltre alla possibilità, per le donne, di essere impegnate quotidianamente in occupazioni manuali come taglio e cucito e realizzazioni di candele per la vendita. Anche noi, un pomeriggio, affiancati dalle ragazze, abbiamo provato a creare delle candele colorate che tutt’ora conserviamo. Siamo stati poi coinvolti dalle stesse ragazze nella divertente preparazione di pizze per tutti i bambini del centro e per le loro mamme, che hanno potuto così provare una vera e propria cena “all’italiana”.
Inoltre, nel periodo in cui le ragazze risiedono al centro, vengono aiutate a cercare un lavoro per reinserirsi nel migliore dei modi, nel contesto socio-economico della città.
Nel centro di costruzione più recente, La Fabrica de la Sonrisa, vengono accolte ragazze provenienti da villaggi di foresta per permettere loro il proseguimento degli studi universitari. Indimenticabile è stata la festa d’accoglienza che ci hanno riservato con canti e balli tipici boliviani e l’agguerrita partita di calcio Bolivia-Italia clamorosamente vinta nonostante un acquazzone.
Ma le emozioni più intense le abbiamo vissute visitando la foresta e le comunità che vivono lì. Abbiamo aiutato Oscar e la gente del posto a ridipingere e pulire due chiesette, prendendo in mano per la prima volta nella nostra vita rulli, pennelli e un po’ di vernice.
Uno degli aspetti più sorprendenti e spiazzanti delle persone di questi villaggi è la loro disponibilità: riescono a donare tutto con gioia nonostante quel poco che hanno. Infatti, concluso il nostro lavoro, ci hanno ospitato in una delle loro capanne per il pranzo per offrirci il pasto migliore che potessero permettersi.
Ma la cosa che forse più ci ha colpito e fatto riflettere durante la visita alle diverse comunità è stato l’incontro, alla nostra prima volta nella foresta boliviana, con la signora Cecilia, una mamma a tempo pieno che può garantire ai propri figli solamente una capanna, se così si può dire, in condizioni tali che viene difficile anche solo tentarne una descrizione. È stato dall’altra parte però emozionante vedere come Oscar si sia da subito affezionato alla situazione di Cecilia e come si sia dato da fare per poter sostenere nel miglior modo possibile la sua numerosa famiglia, dandole così la speranza, in futuro, di contare su una condizione di vita migliore.
Tirando le fila di questa ricchissima avventura, al nostro ritorno a casa la domanda più gettonata è stata ovviamente “Che cosa hai portato a casa dalla Bolivia?”. Il nostro più grande “souvenir” sono stati tutti gli sguardi raccolti dalle persone che abbiamo incontrato, sguardi dai quali traspariva sempre grande serenità nonostante fossero spesso inseriti in contesti che noi faremmo fatica a definire “felici”. Ed è proprio questa serenità che ci ha provocato maggiormente e ci ha permesso anche a distanza di mesi e chilometri di non perdere l’entusiasmo e di attivarci nel nostro piccolo collaborando alle varie iniziate promosse dall’associazione.
Feffa, Ale-Simo e Luca (nomi Boliviani)