Pantaloni tagliati e una ceretta fatta male. Questo è ciò che porto a casa dal mio viaggio. La domanda che può sorgere spontanea è: “ Ma perché diamine un ragazzo di 22 anni, inizia a parlare della sua esperienza con un’immagine così assurda?”.

Perché si tratta della sintesi della mia esperienza, del motivo per cui ho scelto di recarmi a Santa Cruz de La Sierra. Ero desideroso di dare un taglio netto alla mia vita, a quanto avevo vissuto nei tre anni precedenti e così è stato. Quando il rapporto con Giulia è terminato, ho iniziato a raccogliere i cocci e a rimettere assieme la mia vita. Un amico, anzi qualcosa in più che un amico, avendomi visto in difficoltà mi invia un messaggio: “Sai che c’è, credo che se venissi in Bolivia l’estate prossima ti farebbe bene, potrebbe aiutarti a ripartire”. Don Andrea mi conosce bene, e mi ha proposto l’esperienza giusta al momento giusto.

È da quando avevo 12 anni che sognavo di partire per la Bolivia, da quando i miei educatori mi avevano incantato con i racconti della loro esperienza. Eppure, le sere prima della partenza non ero convinta, avevo la testa e il cuore pieni di preoccupazioni e pensieri. Continuavo a chiedermi “Perché? Chi me l’ha fatto fare? Ma ha davvero senso andare fin là?” e facevo fatica a trovare una risposta. Ma ormai ero in pista e non potevo far altro che ballare.

I primi giorni sono stati i più duri. Fingevo a me stessa di aver accantonato le aspettative ma, come consuetudine quando si sogna un’esperienza da anni, non l’avevo fatto davvero. Fin da subito ho dovuto accettare con difficoltà il fatto che non fosse esattamente come l’avevo immaginata. Faceva freddo, spesso eravamo in casa a sbrigare faccende, le persone del posto a volte erano diffidenti e le diversità culturali talvolta rendevano me insicura; mi mancavano le comodità di casa, avevo paura degli animali che avrei potuto incontrare e il non sapere la lingua mi bloccava nella comunicazione. Ma forse più di tutto mi sentivo inutile. Ci si immagina spesso che la missione sia partire e dare il proprio contributo per cambiare il mondo, ma invece tante volte consiste nell’osservare da dietro le quinte e farsi toccare da una realtà completamente diversa dalla nostra. E così è stato; se devo pensare a quello che ho dato io alla missione forse questa esperienza sembrerebbe un fallimento, ma se guardo quanto queste settimane con Oscar, Laura e le ragazze dei centri hanno dato a me, beh, non potevo aspettarmi di meglio.

Mi sono reso conto di quanto il mondo sia grande, di quanto sia vario, ho ampliato la mia idea di umanità: ho visto con i miei occhi luoghi che si vedono solo in tv, ho ascoltato di dinamiche che qui in Italia consideriamo assurde… Da giovane mi rendo conto di quanto ho bisogno di essere educato ad una visione positiva della vita, a gustarne le fasi, a stare dentro a ciò che vivo senza riserve, senza paura della fatica, senza nascondermi o farmi prendere dallo sconforto alle prime difficoltà. Questo è ciò che Oscar e Laura trasmettono alle ragazze madri e alle universitarie dei due centri : oltre ad aiutarle a far fronte alle necessità quotidiane con aiuti concreti, con il loro modo di fare comunica a queste ragazze che sono importanti, che sono speciali, uniche, non importa il loro vissuto, meritano di essere amate così come sono e che possono, anzi devono, portare questo messaggio nella loro società, dove invece a volte la donna è ridotta a mero oggetto e viene maltrattata. Così, entrando nei due centri si percepisce una luce diversa, sono delle oasi, delle case accoglienti in una città che vuole farti sua preda. Non fraintendetemi, all’interno dei centri le fatiche ci sono eccome, ma le ragazze hanno la possibilità di sfogarsi ed avere una spalla a cui appoggiarsi, vengono dati loro gli strumenti per stare in piedi da sole, per diventare donne, con certi valori e la giusta serenità. Ma a pensarci bene però, non dovrebbe essere la famiglia a garantirti tutto ciò? Purtroppo a Santa Cruz ci sono parecchie situazioni di disgregazione famigliare e mi sono accorto di quanto sono fortunato, in occasione della festa della famiglia del 25 agosto, quando le universitarie e le loro famiglie sono state chiamate a riflettere sul tema dell’unione famigliare.

In tre settimane abbiamo vissuto sempre esperienze nuove e visto luoghi spettacolari, ma non sono state le grandi esperienze a fare la differenza quanto le persone che ho incontrato e la semplicità della loro vita. Se, infatti, dovessi riassumere i miei giorni a La Sonrisa, sarebbero un elenco di nomi.

La Sonrisa è la señora Eli, donna tanto minuta quanto determinata, che ha avuto il coraggio di chiedere aiuto per portare avanti da sola la sua famiglia, mettendosi con umiltá al servizio di chi come lei viene da un passato difficile.

La Sonrisa è Camillo, un bambino nato dalla violenza di un padre sulla propria figlia, che lotta quotidianamente con il sorriso contro una malattia che gli porterá sofferenza e forse non gli concederà molti anni di vita.

La Sonrisa è la generosità della gente del campo, che nonostante viva in condizioni di povertá è sempre felice di offrirti quel poco che possiede.

La Sonrisa è Don Julio, sessantenne per la terza volta, che con il suo cuore immenso è sempre pronto a dare una mano dove c’è bisogno e darebbe anche l’anima per l’Hermano Oscar, ormai per lui famiglia.

La Sonrisa è la Señora Rita  che, pur vivendo in una capanna di terra in un piccolo villaggio, ci ha subito accolto come dei re con caffè e empanadas fatte in casa.

La Sonrisa è Maria con sua mamma, entrambe malate di Chagas ma senza possibilitá economiche per pagarsi l’intervento che potrebbe salvarle.

La Sonrisa sono gli occhi felici di John, Diego, Josuè e gli altri bambini quando gli provavamo i vestitini nuovi.

La Sonrisa è Martika, instancabile biologa responsabile del campo di papaye ed esempio concreto della bellezza che Oscar e Laura stanno portando a Santa Cruz; con lei abbiamo strappato prima e piantato poi nuovi germogli al campo sentendoci parte di un progetto più grande.

La Sonrisa sono tutte le ragazze dei centri, Sherlin, Genesis, Alejandra, Elda, Sol, Paola, Marie Isabelle, Monica, Nora…che ci hanno accompagnato in tutti questi giorni con il sorriso e con la gioia che non pensavo di poter incontrare in Bolivia.

Quante emozioni  porto nel cuore a seguito di questa esperienza, maturate attraverso le ricche chiacchierate serali con l’Hermano, l’incontro con le ragazze universitarie e le loro famiglie, ma passando anche attraverso momenti di condivisione come la preparazione della pizza al centro delle mamme e momenti di lavoro al campo di papaie o presso la casa della famiglia missionaria. Poi un aspetto che mi ha colpito conoscendo Oscar è come la sua forza derivi dalla sua grande fede: una fede semplice, una fede certa, una capacità di affidarsi al Signore che mai avevo incontrato in altri e che gli permette di fare ciò che sta facendo e che, sinceramente, un po’ invidio.

Ma più di tutto La Sonrisa sono Oscar e Laura. In loro ho riconosciuto davvero la presenza del Signore. Nella loro esperienza missionaria ne hanno vissute tante eppure sono, ancora dopo 25 anni, sempre pronti a trovare il bello nell’altro e a spendersi per chi è meno fortunato, senza rinunciare però al dono della famiglia.

Alla fine delle tre settimane il distacco è stato difficile e la gratitudine per il tempo passato a Santa Cruz tanta.

Ora sono tornata e tutti non fanno altro che chiedermi cosa ho fatto in missione aspettandosi racconti epici, ma io tutte le volte non so cosa rispondere per non deludere le loro aspettative. Per me la missione in Bolivia è stata soprattutto luogo di incontro con gli altri e con il Signore. Mi ha permesso di staccare dalla frenesia di tutti i giorni e di ritrovare la bellezza negli altri, nella fede e anche in me stessa. Ma la missione non è tanto una cosa che si può raccontare, bisogna viverla lasciandosi plasmare da essa per capirne davvero il valore.

Ora che sono in Italia mi sento chiamato a terminare i miei studi in Ingegneria Meccanica, a stare dentro questa scelta che ho fatto nonostante mi costi fatica ogni giorno, come mi è stato testimoniato, e a trasmettere il messaggio dei nostri amici missionari, che è anche quello di Gesù, valevole per ogni singola persona: TU SEI SPECIALE.